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Dedicato a Quinto Ferrari


 









La Montagnola ovvero il Pincio: Ho scelto questo angolo di Bologna, che ha risvegliato antichi ricordi giovanili,

per l'attività del mio Gruppo di Grafica.

Qui c'è l'affaccio su via Indipendenza.







Questa interessante attività mi ha portata a fare delle ricerche
su Bologna. Ho incontrato immagini di luoghi bellissimi e ne ho riempito una cartella
Pur avendo residenza a circa sette chilometri la considero la
mia città ed amo moltissimo i tanti luoghi meravigliosi che la caratterizzano.
Molte scoperte le devo ad un'amica originaria di Roma che da anni vive a Bologna.

Nel corso delle ricerche ho incontrato questo video che mostra tanti aspetti di una
Bologna di un tempo andato, con la colonna sonora
di Quinto Ferrari,  che ho avuto il piacere di conoscere quando ero giovanissima.
Era un collega nella tipografia dove anch'io ho lavorato.

E' una dolcissima canzone in dialetto dedicata a Bologna.


Questo il link:


https://www.youtube.com/watch?v=li6MgPD_Re8










QUINTO FERRARI


Anche se lui non lo sapeva, Quinto era un grande. Un numero uno che sapeva far vibrare le corde dei sentimenti petroniani come pochissimi altri. Genuino e naïf, non cercò mai riconoscimenti. Eppure ebbe il grande merito di aver fatto nascere la canzone dialettale bolognese d’autore. Prima di Ferrari le nostre canzoni erano sinonimo di umorismo grassoccio, di battute grossolane, di spiritosaggini messe in musica per commediole all’italiana di basso profilo. Lui, invece, con quattro LP e una notevole mole di rime, per la prima volta ha raccontato anche cose serie, romantiche, autobiografiche, evocative. Ha cantato, da borghigiano del Borgo San Pietro, lo spirito della Bologna popolare. E ha saputo farlo con momenti di autentica poesia, come hanno riconosciuto Francesco Guccini, Lucio Dalla, Giorgio Vacchi, Eugenio Riccomini e tanti altri. Aveva una voce garbata ed elegante, da anziano bolognese, e quel dialetto schietto e classico del centro cittadino che gli specialisti definiscono “intramurario”. Sembrava, o forse era, un vecchio nonno saggio bolognese che ti aiuta a tenere vivo il ricordo delle tue radici. E tutto questo con straordinaria naturalezza, senza mai pontificare o salire in cattedra, senza atteggiarsi a maestro del dialetto. E, lui sì, avrebbe potuto farlo. Ricordo le tante serate, e nottate, ad ascoltarlo. Ricordo la voce, la chitarra appena sfiorata e l’atmosfera delle osterie, con la sua presenza che rendeva inevitabile arrivare fino a mattina o quasi. Ancor più che in teatro, ancor più che nelle serate d’onore in piazza Maggiore, Quinto faceva spettacolo autenticamente nostrano davanti al bicchiere di vino, fra amici, all’indimenticabile Osteria delle Dame, al Moretto, all’Autotreno di via della Secchia. Era qui, stretto dall’abbraccio di appassionati numerosi e attenti, che dava il meglio, che si rivelava veramente grande. Perché il suo mondo era quello e il suo pubblico lo ha conosciuto e amato lì, nel ventre di una Bologna sazia e serena. Bastava che si spargesse la voce “c’è Quinto al Mulino Bruciato” e via, tutti lì. Quando si usciva da quelle lunghe notti con lui, negli anni ’70-’80, pareva di avere un’idea più chiara di cosa significasse essere di questa città. Avevi nell’orecchio il suono dei portici, del popolo dei borghi, delle botteghe, e ti sentivi uno della sua famiglia. La famiglia del vecchio e saggio bolognese. Nella canzone “Bologna”, Guccini dice: “I tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi, confusi e legati a migliaia di mondi diversi?”. Quinto Ferrari, con la forza della semplicità e della parlata antica, magicamente li ritrovava. Per fortuna, Bologna si ricordò di lui quando era ancora in vita. Gli assegnarono l’Archiginnasio d’argento in occasione degli 80 anni e il Nettuno d’oro qualche tempo prima di morire. Ne fu felice e orgoglioso anche perché c’eravamo tutti. E a un certo punto, ignorando ogni regola del cerimoniale, i presenti si misero a cantare sommessamente, poi via via sempre più forte. Era, s’intende, La Madunéṅna dal Båurg San Pîr, divenuta il suo marchio, un riconosciuto simbolo della bolognesità. Così, per un attimo, la sala Rossa del Comune sembrava diventata un’osteria insolitamente elegante. Cantò, a modo suo, anche il Sindaco Vitali, con Leonildo Marcheselli, Alfredo Medici, Presini e Danielli, i teatranti dialettali, appassionati e amici, quelli della Famèja Bulgnèisa e Fausto Carpani, l’erede artistico. Le sue canzoni rimangono, ancora ben vive, cantate da altri o trasmesse da radio locali. Sono storie di gente comune, di amori dolce-amari, di malinconico umorismo, di memorie della città, che dimostrano come il dialetto non serva soltanto per le barzellette o per il folclore vignettistico. Il poeta del dialetto cantato, il popolano tipografo Quinto Ferrari, ha saputo usarlo per una rivoluzione che ha fatto scuola nella canzone petroniana.

Tratto da questo sito:


http://www.bulgnais.com/personaggi.html











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